Intervento inaugurazione anno giudiziario

inaugurazione anno giudiziario

INTERVENTO INAUGURAZIONE ANNO GIUDIZIARIO 2015

Prima di tutto vogliamo ringraziare per l’opportunità che anche quest’anno  ci è stata data di intervenire in questo importante evento.

Come più volte abbiamo ricordato in precedenti occasioni, lo scopo identitario del nostro Comitato è la difesa dello  Stato di diritto e dei principi che sono a base della Costituzione Repubblicana.

Sennonché, oggi, abbiamo la sensazione di trovarci in Italia a combattere una battaglia di retroguardia.

Mentre il mondo è pervaso dalla violenza, più bruta, più indiscriminata, che sembra essere ormai l’unico modo per gli essere umani di rapportarsi ai propri simili, in Europa ci si rende conto che l’unica risposta possibile è quella di rafforzare – cito testualmente dalla recentissima Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio – “i principi di legalità (secondo cui  il processo legislativo deve essere trasparente, responsabile, democratico e pluralistico), certezza del diritto, divieto di arbitrarietà del potere esecutivo, indipendenza e imparzialità del giudice, controllo giurisdizionale effettivo, anche per quanto riguarda il rispetto dei diritti fondamentali, uguaglianza davanti alla legge”.

Da noi si ha la sensazione che tutto questo debba essere confinato nell’armadio dei ricordi e debba cedere il passo ad altre prioritarie esigenze: il primato della economia, la rincorsa ad una pretesa funzionalità intesa (o confusa) come libertà di chi governa o meglio di chi detiene il potere di fare ciò che vuole, cioè di comandare e di poterlo fare senza condizionamenti, il sempre minor rispetto dei diritti dell’individuo.

Segni di tale impostazione si ritrovano in alcuni provvedimenti legislativi realizzati negli ultimi anni oppure in fase di gestazione.

Non mi pare ultroneo riferirmi in questa sede ad un progetto di riforma costituzionale che sembra orientato unicamente ad una pretesa migliore funzionalità,  senza nessuna considerazione del fatto che la maggior parte delle disfunzioni che affliggono le nostre Istituzioni non dipendono tanto dal sistema di per se stesso quanto dalla volontà politica; riforma affidata ad un Parlamento non completamente legittimato, considerati i vizi del sistema elettorale con cui è stato eletto, evidenziati dalla Corte Costituzionale, eccessivamente etero diretto, stante l’incombere  del potere esecutivo.

Riforma che, collegata a quella elettorale, non sembra assicurare un futuro processo legislativo trasparente, responsabile, democratico e pluralistico.

Ne fa fede l’ipotizzato premio di maggioranza – meccanismo di per se stesso assai delicato e da maneggiare con molta attenzione – che verrebbe attribuito non già alla coalizione  bensì alla singola lista che all’interno di una coalizione sia quella che ha ottenuto più voti, senza nessuna considerazione delle altre che con essa concorrono al conseguimento del premio.

Il che di per se stesso determina che il premio potrebbe essere attribuito anche ad una lista che in realtà non sia la più rappresentativa nel Paese ma che potrebbe essere rappresentativa anche solo di una limitata parte di cittadini, con una considerazione scarsa, per non dire nulla, delle minoranze.

A ciò verrebbe aggiunto il meccanismo delle liste sostanzialmente bloccate.

Non dovrebbe sfuggire che questo nuovo sistema finirebbe con il determinare un rilevante deficit di democrazia, una enfatizzazione della arbitrarietà del potere esecutivo, considerate anche le ricadute su nomina del Presidente della Repubblica, della Corte Costituzionale, del CSM.

Mi riferisco alla sempre minore considerazione della Giustizia quale servizio da rendere al cittadino, indipendentemente dalle sue condizioni economiche, anzi con maggior tutela dei meno abbienti.

Da una parte il processo sembra considerato quale mezzo per drenare  risorse che peraltro in esso non vengono reinvestite, dall’altra mentre di una riforma organica non si ha più traccia, si realizzano interventi che tendono a limitare il suo utilizzo, soprattutto da parte di chi abbia minori disponibilità economiche.

Il contributo unificato ha raggiunto livelli intollerabili e la sanzione del raddoppio in caso di reiezione dell’appello, anche incidentale, ha reso ancora più grave la cosa.

E la obbligatoria condanna alle spese in caso di soccombenza costituisce un ulteriore deterrente, in particolare per chi ha minori disponibilità economiche.

Le ultime limitazioni al ricorso per Cassazione poi rendono quasi inutilizzabile tale rimedio.

Cito ancora la ipotizzata normativa sulla responsabilità dei Giudici: nessuno nega – ma anzi è opportuno rilevarlo con molta decisione – che sussistono gravi problemi di scarsa funzionalità del sistema dovuti non solo alle gravissime disfunzioni organizzative, alla  carenza delle risorse destinate, alle caratteristiche aberranti della nostra legislazione soprattutto degli ultimi anni, ma anche alla mancanza di impegno e serietà da parte di alcuni magistrati, non diversamente da quanto avviene in molti altri settori della vita pubblica, peraltro.

Certamente qualche cosa è necessario fare, ma il modo migliore per affrontare tale problema non sembrano disposizioni orientate piuttosto alla affermazione del pensiero unico, senza attenzione ai principi di indipendenza ed imparzialità.

Mi riferisco anche alle norme in gestazione sulla responsabilità dei giornalisti, che assai poco hanno a che vedere con la libertà di stampa e con la tutela del dovere normale di controllo che spetta ai giornali, che costituisce un elemento fondamentale della democrazia.

Mi riferisco a quella ipotizzata normativa, oggetto di polemiche alcuni giorni fa, ma non definitivamente abbandonata, secondo la quale il livello di illiceità e la conseguente qualificazione di reato non sarebbe diretta conseguenza del comportamento ma deriverebbe dalla entità del patrimonio dell’agente, con assai poco rispetto del principio di eguaglianza.

Ed ancora la scarsa attenzione per i diritti individuali fondamentali quale emerge da alcune disposizioni del cd jobs act, condizionate troppo dalle esigenze della produzione.

Ci si potrà accusare di eccessivo pessimismo.

Il fatto è che il pessimismo della ragione ha avuto campo fertile negli ultimi anni; ciò non esclude che l’ottimismo della volontà debba continuare ad essere coltivato con pazienza, quale vero e proprio abito mentale, indipendentemente dalla speranza, che osservazioni come quelle che abbiamo formulate trovino un qualche ascolto  .

Vincenzo Paolillo

                                                                             per il Comitato per lo Stato di diritto

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